martedì 17 dicembre 2002

Informatica

Il computer è uno straordinario aggeggio, ha migliorato notevolmente la vita dell’uomo non c’è dubbio. Puoi giocare e comunicare e fare tante cose con il computer, volendo anche scopare. Lo hanno inventato gli universitari americani nel lontano 1943, costruendo ENIAC, un calcolatore digitale centinaia di volte più veloce di ogni altra macchina fino allora realizzata. Per la verità la storia dei computer o, per meglio dire, dei calcolatori può farsi risalire molto molto indietro… Se guardiamo alla preistoria dell’uomo infatti, troviamo la vera origine dei numeri: le dieci dita! Esse costituiscono il primo strumento di calcolo utilizzato dall’uomo ed influenzano l’adozione in tutto il mondo di sistemi numerici decimali… Stupefacente! L’uomo conta e per le sue carenze logiche, invece di usare la logica per contare usa la logica per costruire una macchina logica che esegua i calcoli per lui: le dieci dita poi l’abaco poi le macchine a schede perforate poi su su fino ai moderni e ultrapotenti Personal Computer. Uno di questi ce lo ho adesso sotto le mani e lo uso per fare molte cose tipo giocare o contare. O scrivere stronzate. Certo, uno degli usi più utili di un computer è internet, navigare in internet. Il world wide web, W, W, W, punto stronzo punto com. Anche in questo campo gli americani hanno regnato (e tuttora regnano). Negli anni sessanta si interessavano di reti di computer soprattutto come comunicazione militare di dati segreti o quant’altro; comunque un fatto militare. Fu così che nacque ARPAnet, una rete ridondante; una rete strategica di computer che potesse sopravvivere a una catastrofe nucleare; la madre di internet così come noi oggi lo conosciamo. Adesso internet pone numerose problematiche di difficile soluzione, infatti è mal gestibile e mal legislabile… Un esempio (fra tanti) è il problema della protezione del copyright nella musica: milioni di brani musicali ogni giorno vengono scaricati da internet gratis da milioni di persone al giorno. Ma è normale, è un fenomeno non arginabile. Imprevisto? Neanche tanto! Insomma fin dall’inizio ci piaceva chiamare internet come il mezzo di comunicazione globale per una comunità-mondo; una comunità cosa fa? Condivide tutto. Io e miei amici quindici anni fa ci scambiavamo le cassette con le canzoni di Vasco Rossi e le “sdoppiavamo”: era un fenomeno che riguardava una decina di persone che alla fine avevano tutte lo stesso album ma solo una di loro lo aveva acquistato nel negozio di dischi. Beh, al produttore questo non interessava perché comunque riusciva a vendere molte copie ugualmente; eppure noi con le nostre cassettine eravamo dei pirati che violavano il copyright altrui… Internet è come una piazza enorme dove incontri gente; potenzialmente puoi trovarci contemporaneamente tutti, la tecnologia lo permetterebbe, resta da vedere se sulla Terra c’è lo spazio fisico per ospitare un terminale per ogni abitante, io non lo so. In questa piazza ognuno in mano ha il suo sacchetto di canzoni e può dartene una copia di quelle che ti interessano, questo è quanto. Il computer risolve molti problemi di calcolo, alleviando di molto il compito dei progettisti; certo che il progettista serve ancora, ci sono passaggi nel processo di sintesi di un progetto che non sono automatizzabili, e quindi non eseguibili da un calcolatore; faccio un esempio: nel progettare una rete sequenziale, sia essa sincrona od asincrona, il primo passo, quello che da una specifica, cioè di norma una descrizione a parole, porta alla costruzione del diagramma degli stati, non può prescindere dalla mano e dalla testa di uno scaltro uomo. Il passo successivo può fartelo il calcolatore, cioè può costruirti la tabella di flusso, a partire però dal diagramma degli stati che Tu hai disegnato, solo tu, sempre tu, anche tu, nient’altro che tu: il vitello dai piedi di balsa.

lunedì 27 maggio 2002

sono solo?

IL presupposto è: secondo me il mio problema è che non entro bene in comunicazione con gli altri; cioè devo forzarmi, essere innaturale, creo qualcosa di non gioioso. Questo fatto rende la situazione leggermente spiacevole, e divento evitabile. Oggi sono stato da solo, completamente da solo e mi sento solo. Non ho cercato nessuno, gli altri mi hanno cercato poco e di certo non ero favorevole a partecipare nel sociale, ma non mi sono trovato bene. Mi sento a disagio, mi sento sbagliato e irrecuperabile, potrei fare della solitudine una forza ma non mi piace e non mi sembra questa la via.
Avrei preferito essere in compagnia, ma di chi? Cosa avrei avuto da questa compagnia e, soprattutto, cosa avrei potuto dare? Ecco, il fatto è che non mi sento di poter dare alcunché. Ma questo allora è un problema esclusivamente generato da me e non so quali basi abbia; probabilmente non sono capace, sono abituato male nel rapportarmi. O forse devo imparare a sforzarmi, che non significa essere innaturali, significa semplicemente pensarci su un attimo, imparare a condividere il mio cervello. Ecco, devo imparare a condividere il mio cervello senza eccessiva paura del giudizio e prima di tutto devo conoscermi; obiettivamente non mi vedo bene, nel senso che non mi vedo proprio, non so chi sono. Non mi capisco, è per questo che non trovo una mia dimensione, ma come si fa a capirsi? Allora voglio provarci.
Sono un uomo di ventiquattro anni, sto studiando per acquistare una abilità, per acquisire le conoscenze necessarie ad essere un professionista nel mio campo, cioè nell’ambito conoscitivo, nella nicchia dello scibile umano in cui mi specializzo e che approfondisco; questo mi porterà a svolgere un lavoro tramite il quale verrò ricompensato per lo sfruttamento del mio cervello specializzato. Mi viene in mente: 1 impegnarmi nello svolgere bene il mio lavoro servirà a far piacere me, che sarò gratificato e riceverò una ricompensa, necessaria alla sopravvivenza e a tutte le cose per cui bisogna pagare, e servirà a far piacere agli altri che godranno dei miei risultati e servirà a far piacere alle persone più vicine a me che saranno fiere di me; 2 specializzarmi in una nicchia dello scibile umano, significa lasciar perdere tutto il resto e questa è una ammissione che non mi piace anche se è necessaria e inevitabile: non posso dedicarmi a tutto ciò che vedo intorno a me, sarebbe poco serio e totalmente infruttuoso. Da queste due conclusioni consegue che uno, si vive anche per il prossimo e, anche volendo vedere la questione in modo egoistico, non se ne può fare a meno, lo dimostra ad esempio la conclusione uno; due, devo essere convinto delle mie scelte, molto convinto, e soprattutto devo fare delle scelte decise.
Bene! Ho una prima caratterizzazione di me: sono indeciso, mi piace il mondo in cui vivo e non voglio capire che non posso abbracciare tutto, se non in modo superficiale e senza palle. Le palle quindi stanno si nello scegliere con decisione e convinzione e portare avanti le proprie scelte senza tirarsi indietro nelle difficoltà, ma stanno anche nell’escludere altre possibilità, nel fare dei tagli. Allora devo imparare a fare dei tagli.
Riguardo al prossimo, e questa è forse un’altra caratterizzazione di me, penso di tenerci molto, penso di voler fare del bene, penso sinceramente di volere il bene del prossimo, forse anche più del mio o forse no, visto che in ultima analisi, il prossimo che gioisce e una gioia per me, quindi faccio del bene a me partendo da me, passando per gli altri e tornando a me.
Dunque, e non è una novità, tutto è volto a procurare piacere a se stessi; nella vita si cerca la felicità. La si cerca nell’ambito in cui ci si specializza, la si cerca in ogni situazione quotidiana, la si cerca negli affetti.

domenica 31 marzo 2002

due domande

Abbastanza confuso.
Sono abbastanza confuso, e la confusione è una costante della mia vita; proprio adesso posso dire che il mio stato confusionale non è imputabile a nessun’altra circostanza se non al fatto che esisto. Io esisto, e l’essenza stessa dell’esistenza mi manda ai pazzi…
Minchia! Sono in amore e niente è chiaro; non con un’accezione negativa ma niente è chiaro. Stessa situazione di quando ero non in amore: niente era chiaro. Mai sono stato in chiarezza e, accidenti: che cazzo sto scrivendo?
So per certo che la Felicità è favorita dalla totale assenza di inquietudine, anzi, ha come requisito fondamentale la totale assenza di inquietudine; la costanza mia nella permanenza nello status di “abbastanza confuso” non può non ingenerare inquietudine (più o meno marcata). Non posso dunque essere Felice? Diciamo che un passo fondamentale è riuscire a convivere con l’assenza di “controllo assoluto”. Fatto questo è automatico il dissolversi di quel recondito turbamento che è l’inquietudine: ecco abbiamo a disposizione il requisito fondamentale!
Comunque mi rendo conto che una certa piccola, strisciante, non necessariamente maligna tensione è costantemente presente, a volte in background, in me… E penso “Bene cazzo! E’ bene che sia così!” Altrimenti sarei fermo. E non so se essere fermi&felici rende Felici; credo di no.
Le mie domande sono:
• Si può restare per molto tempo IN Felicità, o è un attimo e per il resto confondiamo la frase “sono felice” con la frase “mi ricordo di essere stato felice”?
• Ma allora, il tendere alla Felicità è in sé Felicità (o una sua sottospecie) o no?

sabato 16 marzo 2002

noname

Ti amo, voglio tutto da te,
voglio il giorno e la notte.
Giorno: sorriso, seno, pettinami, danza,
inquieta inquieto, ti amo;
Notte: cinque sospiri, sei qui,
parossismo sincronico, baci e carezze,
tradisco l’ego, rinnego le usanze.
Ti amo.