lunedì 27 maggio 2002

sono solo?

IL presupposto è: secondo me il mio problema è che non entro bene in comunicazione con gli altri; cioè devo forzarmi, essere innaturale, creo qualcosa di non gioioso. Questo fatto rende la situazione leggermente spiacevole, e divento evitabile. Oggi sono stato da solo, completamente da solo e mi sento solo. Non ho cercato nessuno, gli altri mi hanno cercato poco e di certo non ero favorevole a partecipare nel sociale, ma non mi sono trovato bene. Mi sento a disagio, mi sento sbagliato e irrecuperabile, potrei fare della solitudine una forza ma non mi piace e non mi sembra questa la via.
Avrei preferito essere in compagnia, ma di chi? Cosa avrei avuto da questa compagnia e, soprattutto, cosa avrei potuto dare? Ecco, il fatto è che non mi sento di poter dare alcunché. Ma questo allora è un problema esclusivamente generato da me e non so quali basi abbia; probabilmente non sono capace, sono abituato male nel rapportarmi. O forse devo imparare a sforzarmi, che non significa essere innaturali, significa semplicemente pensarci su un attimo, imparare a condividere il mio cervello. Ecco, devo imparare a condividere il mio cervello senza eccessiva paura del giudizio e prima di tutto devo conoscermi; obiettivamente non mi vedo bene, nel senso che non mi vedo proprio, non so chi sono. Non mi capisco, è per questo che non trovo una mia dimensione, ma come si fa a capirsi? Allora voglio provarci.
Sono un uomo di ventiquattro anni, sto studiando per acquistare una abilità, per acquisire le conoscenze necessarie ad essere un professionista nel mio campo, cioè nell’ambito conoscitivo, nella nicchia dello scibile umano in cui mi specializzo e che approfondisco; questo mi porterà a svolgere un lavoro tramite il quale verrò ricompensato per lo sfruttamento del mio cervello specializzato. Mi viene in mente: 1 impegnarmi nello svolgere bene il mio lavoro servirà a far piacere me, che sarò gratificato e riceverò una ricompensa, necessaria alla sopravvivenza e a tutte le cose per cui bisogna pagare, e servirà a far piacere agli altri che godranno dei miei risultati e servirà a far piacere alle persone più vicine a me che saranno fiere di me; 2 specializzarmi in una nicchia dello scibile umano, significa lasciar perdere tutto il resto e questa è una ammissione che non mi piace anche se è necessaria e inevitabile: non posso dedicarmi a tutto ciò che vedo intorno a me, sarebbe poco serio e totalmente infruttuoso. Da queste due conclusioni consegue che uno, si vive anche per il prossimo e, anche volendo vedere la questione in modo egoistico, non se ne può fare a meno, lo dimostra ad esempio la conclusione uno; due, devo essere convinto delle mie scelte, molto convinto, e soprattutto devo fare delle scelte decise.
Bene! Ho una prima caratterizzazione di me: sono indeciso, mi piace il mondo in cui vivo e non voglio capire che non posso abbracciare tutto, se non in modo superficiale e senza palle. Le palle quindi stanno si nello scegliere con decisione e convinzione e portare avanti le proprie scelte senza tirarsi indietro nelle difficoltà, ma stanno anche nell’escludere altre possibilità, nel fare dei tagli. Allora devo imparare a fare dei tagli.
Riguardo al prossimo, e questa è forse un’altra caratterizzazione di me, penso di tenerci molto, penso di voler fare del bene, penso sinceramente di volere il bene del prossimo, forse anche più del mio o forse no, visto che in ultima analisi, il prossimo che gioisce e una gioia per me, quindi faccio del bene a me partendo da me, passando per gli altri e tornando a me.
Dunque, e non è una novità, tutto è volto a procurare piacere a se stessi; nella vita si cerca la felicità. La si cerca nell’ambito in cui ci si specializza, la si cerca in ogni situazione quotidiana, la si cerca negli affetti.